AG-Tech: la robotica nel settore agricolo

AG-Tech: la robotica nel settore agricolo

Le applicazioni della robotica nell’agricoltura sono moltissime: i robot possono seminare, individuare le piante, smistarle.

Vi sono trattori che coltivano i campi in autonomia, robot che mietono il grano o che eliminano le erbacce, droni a guida autonoma dotati di speciali sensori, utilizzati per monitorare il raccolto, garantirne l’integrità e analizzarne le caratteristiche.

Le applicazioni si estendono anche all’allevamento industriale, dove i robot vengono usati per nutrire e mungere gli animali, raccogliere e smistare le uova e pulire gli ambienti in modo automatizzato.

È l’Ag-Tech (il settore delle tecnologie agricole) e continuerà a crescere nei prossimi decenni.

I nuovi termini coniati per descrivere la rivoluzione robotica che sta avvenendo nell’agricoltura si sprecano: da AgBot e FarmBot, all’Agricoltura 4.0 o farmerless.

Questo perché le frontiere dell’agricoltura tecnologica si estendono ben al di là dei trattori autonomi o delle macchine raccogli-grano.

Vi è un territorio vergine in cui poche, innovative startup si avventurano, in cerca di risposte per aumentare la produttività dei raccolti, creare macchine sempre più efficienti e trovare soluzioni alle future esigenze alimentari di un’umanità in crescita.

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“Stiamo costruendo ponti tra Silicon Valley e la Central Valley californiana dove lo stato coltiva la maggior parte del suo cibo”

ha dichiarato per esempio Seana Day, partner di Better Food Ventures, una società di investimento focalizzata sull’agro-tech.

Un ponte tra due valli fondamentali per l’economia californiana: la Silicon Valley che produce innovazione senza pari al mondo da decenni e la Central Valley, che invece è famosa per i suoi vigneti, uliveti e frutteti. Cosa uscirà da questa accoppiata innovativa? Ce lo saprà dire solo il tempo.

Altra startup innovativa nel settore è Plenty, che sta portando un’altra, piccola rivoluzione: quella del “super-biologico”.

Gli ortaggi di Plenty non sono solo prodotti completamente privi di pesticidi o altre sostanze chimiche, ma sono a km zero perché prodotti nelle grandi serre verticali che Plenty sta costruendo alle porte di diverse città americane.

Qui, dove la vicinanza alle città gioca a favore dei produttori ma la mancanza di spazio è un serio problema, la soluzione sta nel far crescere i campi in verticale, su appositi muri, invece che in orizzontale sul terreno.

 

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A differenza degli altri produttori biologici, Plenty riesce a mantenere bassi i prezzi di vendita e competere con ortaggi non bio. Il fattore più sconvolgente, però, è la produttività di ogni singolo raccolto di Plenty: fino a 530 volte maggiore rispetto ai raccolti tradizionali.

Un altro esperimento interessante è stato condotto nel novembre del 2017 dalla Harper Adams University nel Regno Unito.

Durante il progetto ‘Hands Free Hectare’(“l’ettaro senza mani”) sono state piantate, coltivate e infine raccolte circa cinque tonnellate di orzo. Nulla di strano fino a qui. Se non fosse che il tutto è stato realizzato interamente senza l’intervento umano.

Ogni fase, dalla semina alla raccolta, è stata curata da machine autonome e droni. Lo scopo di questo progetto era proprio dimostrare che ci troviamo ad un livello di maturità tecnologica tale che i robot possono occuparsi dell’intera filiera di produzione di cibo, dal seme fino al raccolto.

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